Risultato immagine per CONTRATTOIL CASO: Le parti stipulavano un contratto preliminare di compravendita con la dazione, a titolo di caparra confirmatoria, di un assegno pari a 30 mila euro. Appena quattro giorni dopo la conclusione del negozio, la società promittente venditrice dichiarava di non voler più adempiere e restituiva l’assegno al promissario acquirente. Questi agiva in giudizio chiedendo la corresponsione del doppio della caparra (ossia di ulteriori 30 mila euro). In primo grado, il tribunale accoglieva la domanda attorea, ritenendo legittimo il recesso esercitato dal promissario acquirente a seguito dell’inadempimento del promittente venditore; mentre, in sede di gravame, la sentenza veniva riformata e la domanda dell’acquirente veniva rigettata. Infatti, secondo il giudice di merito, aver ricevuto indietro l’assegno bancario aveva determinato il venir meno del titolo giustificativo per l’esercizio del recesso. In buona sostanza, il rapporto di caparra si era estinto per mutuo consenso della parti. Si giunge così in Cassazione.

LA CAPARRA CONFIRMATORIA: occorre ricordare che la caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) ha, in primo luogo, una natura composita, in quanto può consistere nella dazione di una somma di denaro (o in una quantità di cose fungibili) da corrispondere al momento del perfezionamento dell’accordo e, in secondo luogo, svolge una funzione eclettica, giacché serve a dimostrare la serietà dell’impegno (funzione di garanzia) e viene incassata in caso di inadempimento della controparte (sotto questo profilo presenta margini di contiguità con la cauzione). Inoltre, consente di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice (funzione di autotutela). Infine, indica la forfettaria misura del danno derivante dal recesso esercitato a causa dell’inadempimento della controparte.

La caparra confirmatoria non ha una funzione né probatoria né sanzionatoria e si distingue dalla caparra penitenziale (art. 1386 c.c.) che è il corrispettivo del recesso e dalla clausola penale (art. 1382 c.c.) che rappresenta una liquidazione convenzionale e anticipata del danno (rispetto alla clausola penale, la caparra confirmatoria non pone un limite al danno risarcibile).

In merito al funzionamento della caparra, si ricorda che, una volta che il contratto è stato adempiuto, essa viene restituita oppure viene imputata a titolo di acconto sul prezzo.

Può capitare che il contratto non venga adempiuto e quindi occorre distinguere due ipotesi: se è la parte che ha versato la caparra ad essere inadempiente (ad esempio, il compratore), l’altra parte può recedere dal contratto e trattenere la caparra a titolo di risarcimento del danno; invece se è la parte che ha ricevuto la caparra ad essere inadempiente (ad esempio, il venditore), l’altra parte può recedere dal contratto e pretendere il doppio della caparra a titolo di risarcimento del danno.

In entrambi i casi, la parte non inadempiente può decidere di non esercitare il recesso ma chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno secondo le regole generali (art. 1385 c. 3 c.c.). A tal proposito, considerando che l’inadempimento sia imputabile e di non scarsa importanza, l’altra parte “non può incamerare la caparra, essendole invece consentito trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spettantele a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati” (Cass. 5095/2015)

Risultato immagine per RECESSORISOLUZIONE PER DIRITTO E RECESSO: Come abbiamo visto, la parte può esercitare il recesso (art. 1385 c. 2 c.c.) purché l’inadempimento della controparte presenti gli stessi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale (imputabilità e non scarsa importanza). Il diritto di recesso previsto in materia di caparra confirmatoria non è sussumibile nella previsione generale ex art. 1373 c.c., ad essa, infatti, fa riferimento il distinto istituto della caparra penitenziale (art. 1386 c.c.). Il diritto di recesso, in questo caso, rappresenta uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto simile alla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), alla clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e al termine essenziale (art. 1457 c.c.). La risoluzione ipso iure del contratto – che avviene tramite il recesso – è collegata alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Si tratta di un vero e proprio fenomeno risolutivo in quanto presenta, in primis, gli stessi presupposti della risoluzione (inadempimento colpevole e di non scarsa importanza), in secundis, le medesime conseguenze (come la caducazione ex tunc degli effetti del contratto).

Per completezza espositiva, si ricorda che, secondo la giurisprudenza, l’alternativa che la parte non inadempiente può scegliere (ex art. 1385 c. 2 e c. 3 c.c.) “non è tra recesso e risoluzione, bensì tra due discipline della risoluzione, la seconda delle quali consiste nel chiedere, indipendentemente dalla caparra, la liquidazione del danno subito nella sua effettiva entità, che evidentemente dovrà essere provata” (Cass. 5095/2015).

Anziché optare per il recesso (art. 1385 c. 2 c.c.), la parte non inadempiente può decidere di chiedere l’adempimento del contratto oppure la sua risoluzione (art. 1385 c. 3 c.c.). In particolare, nel caso della risoluzione, la restituzione della caparra dipende dal fatto del venir meno della causa della sua dazione. In tale circostanza, quindi, la caparra perde la funzione di limitazione forfettaria del danno. Pertanto, la parte che ha subito l’inadempimento e il relativo pregiudizio ha diritto al risarcimento dell’integrale danno subito, purché lo dimostri.

Anche dopo aver proposto la domanda di risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente può decidere di esercitare il recesso, in tal caso peraltro implicitamente rinunziando al risarcimento integrale e tornando ad accontentarsi della somma convenzionalmente predeterminata al riguardo. Ne consegue che ben può, pertanto, il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di risoluzione” (Cass. 2032/1994 e Cass. 22657/2017).Risultato immagine per CONTRATTO

Il ricorrente sostiene che l’accettazione dell’assegno – restituito dal promittente venditore – non possa considerarsi come espressione né di una risoluzione consensuale del contratto né come una implicita rinuncia al doppio della caparra. La sentenza gravata non considera legittimo il recesso esercitato dal promissario acquirente e, conseguentemente, nega il suo diritto ad ottenere il doppio della caparra, considerando il rapporto di caparra estinto per mutuo consenso. La Suprema Corte ritiene errata la sentenza gravata in punto di diritto. Il giudice di secondo grado, infatti, ha omesso di considerare il rifiuto del promittente venditore di adempiere al contratto preliminare; inoltre, ha ritenuto che la mera restituzione dell’assegno – accettato dall’altra parte – integri una rinuncia implicita alla caparra. Viceversa, la mera accettazione dell’assegno è un comportamento neutro privo di alcuna volontà adesivaLa Corte d’Appello avrebbe dovuto indagare le ragioni dell’inadempimento del promittente venditore, inoltre, nella pronuncia gravata non emerge la prova – che doveva essere fornita da parte del convenuto – dell’accettazione senza riserve della caparra da parte dell’attore e della sua rinuncia ad esercitare il recesso. È pur vero che la volontà del creditore di rinunciare al doppio della caparra può derivare anche da comportamenti concludenti, ma essi devono desumersi da circostanze evidenti e incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto.

CONCLUSIONE: Dopo aver ripercorso la natura e la funzione della caparra confirmatoria, la Corte ha espresso il seguente principio di diritto “in tema di caparra confirmatoria, nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versatale a titolo di caparra dall’altra parte contrattuale (nella specie, a mezzo assegno bancario), non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un’univoca volontà abdicativa del suo diritto da parte del creditore, mediante l’esercizio del recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell’inadempiente al relativo obbligo”.