1. SGUARDO ALLA NORMATIVA SULL’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA

L’attuale situazione di emergenza, determinata dalla pandemia da covid-19 in atto, nell’ambito dei contratti con prestazioni corrispettive (tra cui quelli ad esecuzione continuata o periodica) in corso, comporta una serie di conseguenze nella gestione degli stessi.
All’interno di tali fattispecie contrattuali è poi necessario tenere in considerazione l’oggetto del contratto e della relativa prestazione. Ed infatti in ambito di servizi energetici l’autorità garante (ARERA) ha già dato disposizioni in ordine ai servizi (Luce, gas, acqua) con diverse procedure a seconda che si tratti di consumatori / società oppure in base alla potenza erogata in ciascun rapporto.
In ambito contrattuale il legislatore interviene con l’art. 91, 1º co., d.l. 18/2020 [cura Italia].

Ciò premesso, gli effetti sulle singole fattispecie vanno considerati pensando all’obbligazione:

• sorta in epoca antecedente l’emergenza;
• nata in parte prima ed in parte nel corso della stessa;
• scadente in futuro, a prescindere dalla nascita del debito prima o dopo l’inizio dell’emergenza.

Si pensi, ad es., ai canoni di locazione in corso, rispetto a quelli antecedenti ed a quelli successivi. La fattispecie in esame riguarda situazioni gravi, che siano tali da far venir meno l’equilibrio proprio dei contratti sinallagmatici, salvo poi stabilire il rimedio utilizzabile.
Infatti, la risoluzione per inadempimento e per eccessiva onerosità sopravvenuta non produce effetto retroattivo solo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica (art.1458 c.c.), mentre l’impossibilità sopravvenuta libera il debitore dall’obbligazione in toto o per la parte divenuta impossibile.

2. L’EMERGENZA COVID-19 DALLA PARTE DEL CREDITORE

2.1. La risoluzione per inadempimento ed i suoi limiti

Il principio generale di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni e di buona fede nell’esecuzione dei contratti [artt. 1175 e 1375 c.c.] — espressione nell’ambito privatistico del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione — impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di “agire in modo da preservare gli interessi dell’altra” e costituisce un dovere giuridico essenziale ed autonomo a carico delle parti contrattuali.
Oltre che ai doveri di correttezza e di buona fede, l’inadempimento può riferirsi alle obbligazioni oggetto del contratto. Rileva allora l’art. 1218 c.c., che stabilisce un principio generale: “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

L’art. 91, 1º co., d.l. 18/2020 fa sistema con quest’ultima disposizione, prevedendo infatti:
il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica [N.d.a.] di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Premesso che la norma — nonostante la sua rubrica faccia pensare il contrario — si applica anche alla contrattualistica privata, l’art. 91, 1º co., d.l. 18/2020 “non individua un’ipotesi (ex lege) di inadempimento ‘non imputabile’, né instaura una regola automatica di giudizio, né una presunzione” [in Angioni, Conti, Coronavirus e inadempimenti contrattuali: quali soluzioni per risarcimento, penali e decadenze, in www.quotidianiipsoa.it, 2020].
Il recente legislatore, dunque, nulla aggiunge alla disciplina codicistica sull’inadempimento delle obbligazioni e dei contratti, inviando piuttosto al giudice “una severa raccomandazione”, che lo stesso “può agevolmente disattendere” [Angioni, Conti 2020].
Accogliendo l’affermazione, sorge il dubbio sull’effettiva utilità dell’art. 91, 1º co., d.l. 18/2020, rendendo d’altra parte utile l’esame della normativa codicistica compiuto nel presente documento.

2.2. Indicazioni operative per il creditore

Poiché non sarà possibile per i clienti creditori contestare la sussistenza di una causa di forza maggiore [ufficialmente dichiarata con l’art. 91, 1º co., d.l. 18/2020] e l’impossibilità temporanea dei clienti debitori ad eseguire la prestazione durante la pandemia, si rende opportuno adottare linee guida comuni, da modificare in base al tipo di contratto e del relativo oggetto.
Nel caso di piani di pagamento in corso (accordi derivanti da pratiche già in corso), le rate in scadenza nel periodo di emergenza, da febbraio 2020 sino al termine della stessa, dovranno necessariamente essere posticipate, prendendo l’esempio di quanto previsto per le rate del Fisco [ossia, attualmente, fino al 31 maggio 2020].
Nel caso di esposizioni debitorie inerenti a crediti sorti e scaduti, in tutto o in parte, prima dell’emergenza coronavirus, il debitore dovrebbe pagare tutto e subito nei contratti istantanei [ad es., compravendita] o pagare immediatamente il vecchio debito e l’altro mediante un piano di rientro per i contratti di durata. Quest’ultima, peraltro, è una soluzione puramente equitativa, in quanto l’impossibilità parziale della prestazione comporta l’estinzione del corrispondente obbligo.
Quale ulteriore alternativa si potrà concordare una rateazione, avendo riguardo al fatto che il credito pregresso dovrebbe essere saldato più rapidamente.
Nel caso di affidamenti di pratiche nuove, fatte salve le direttive che ciascun cliente fornirà, si dovrà analizzare quando sono sorte le obbligazioni e gestire piani di pagamento e forse anche richieste di risoluzione dei contratti.

3. L’EMERGENZA COVID-19 DALLA PARTE DEL DEBITORE

3.1. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione

In base all’art. 1256 c.c., rubricato “impossibilità definitiva e impossibilità temporanea”, l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile (l’impossibilità deve essere sopravvenuta al momento della stipula).
Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
L’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Si ritiene che vi sia “impossibilità della prestazione” per factum principis quando sopraggiungano provvedimenti di legge, o di carattere amministrativo emessi dalle competenti autorità, che, per tutelare l’interesse pubblico, impongono prescrizioni comportamentali o divieti che rendono impossibile la prestazione dell’obbligato indipendentemente dalla sua volontà.
Nel caso attuale, tuttavia, l’intervento della pubblica autorità non incide direttamente sul rapporto tra il creditore ed il debitore. Quest’ultimo, per il tempo indicato dai provvedimenti per il contenimento dell’emergenza epidemiologica, non può svolgere la propria attività nei confronti dei terzi e, di conseguenza, non dispone della liquidità necessaria per assolvere tutte le proprie obbligazioni pecuniarie. Tale situazione dovrà essere valutata anche in base alla tipologia del soggetto debitore (consumatore, imprenditore individuale, società) e del debito.
Il fatto esterno, dunque, si riflette solo indirettamente sulla posizione del debitore, ma produce gli stessi effetti che il codice civile ricollega alla sua incolpevole impossibilità di adempiere.
L’art. 1258 c.c., inoltre, dispone che se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
L’art. 1464 c.c. prevede infine: quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile (ad es. per causa di forza maggiore solo temporanea, come nella specie), l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
In quest’ultimo caso, dal punto di vista pratico, si potranno valutare riduzioni di prezzo, oppure l’allungamento del termine di durata dei contratti pluriennali con prezzo prestabilito ab origine, con conseguente diluizione delle rate di pagamento già pattuite.

3.2. L’eccessiva onerosità sopravvenuta

Occorre rilevare la mancanza, nell’ordinamento italiano, di una specifica norma e di una precisa, univoca e condivisa, definizione di forza maggiore.
Secondo dottrina e giurisprudenza vi è forza maggiore in caso di eventi (calamità naturali, terremoti, uragani, sommosse, guerre, scioperi nazionali, incendi, o altro evento comunque imprevedibile come l’attuale emergenza epidemiologica) che, per la loro imprevedibilità e straordinarietà, non sono dominabili e quindi fuori dal controllo delle parti.
Esiste tuttavia una norma, l’art. 1467 c.c., rubricato come “contratto con prestazioni corrispettive”, che fornisce alcune coordinate normative di riferimento, grazie alle quali specificare il concetto della forza maggiore.
Tale norma, che trova applicazione nel caso di contratti ad esecuzione continuata, periodica, o differita (c.d. contratti di durata: ad es., somministrazione; appalto di servizi continuativi o periodici), prescrive infatti che nel caso in cui la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa a causa del verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (forza maggiore), estranei alla sfera d’azione del debitore e del suo controllo sugli eventi , la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, dando prova del fatto da cui deriva l’eccessiva onerosità e della sua derivazione dagli avvenimenti straordinari e imprevedibili. Nel caso attuale tale prova è facilitata dal carattere notorio dell’emergenza epidemiologica, oltretutto certificata dall’OMS con la recente dichiarazione di pandemia.
La valutazione dell’onerosità come eccessiva spetta al giudice; essa, in ogni caso, deve essere sopravvenuta al momento della stipula dell’accordo e risulta irrilevante se chi la invoca è già in ritardo con il suo adempimento ed è quindi in mora.
Si deve qui pertanto prescindere da ogni considerazione sulle condizioni particolari del debitore, su impedimenti sopravvenuti nella sua sfera patrimoniale: si deve aver riguardo unicamente al contenuto intrinseco della prestazione, rispetto al contenuto intrinseco della controprestazione. Infatti, l’art. 1467 c.c. parla di prestazione divenuta eccessivamente onerosa, e non di prestazione divenuta tale per una delle parti.
Lo “scarto eccessivo” tra le utilità delle due prestazioni dev’essere determinato da avvenimenti straordinari ed imprevedibili.
L’eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c.si risolve sempre e necessariamente — come si è visto — in un rapporto tra i due arricchimenti corrispettivi, onde una prestazione ben può dirsi eccessivamente onerosa quando, pur non richiedendo la sua esecuzione successiva uno sforzo maggiore di quello richiesto inizialmente al debitore, il corrispettivo già pattuito per tale prestazione è venuto nel frattempo ad essere (per cause imprevedibili) notevolmente inferiore rispetto all’attuale valore di mercato di quella prestazione.
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c.              Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, le prestazioni anteriori non vanno restituite, mentre le obbligazioni successive non sono adempiute.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
La norma opera solo in via di azione, non di eccezione, a differenza di quanto accade in caso di inadempimento (v. art.1460 c.c.: eccezione di inadempimento).

3.2.1. Confronto tra impossibilità ed eccessiva onerosità

Da quanto si è detto sinora appare chiaro come diversi siano tanto i presupposti quanto i principi che regolano l’impossibilità della prestazione ex art. 1463 c.c. e la sopravvenienza contrattuale (eccessiva onerosità sopravvenuta) ex art. 1467 c.c.:

A) Anzitutto, nel primo caso (art.1463 c.c.) si tratta di impossibilità della prestazione, nel secondo (art.1467 c.c.) di semplice difficoltà oggettiva, legata al sopravvenire di eventi straordinari ed imprevedibili;

B) Il campo di applicazione dell’impossibilità sopravvenuta è costituito unicamente dai contratti con attribuzioni corrispettive; il campo di applicazione della sopravvenienza contrattuale si estende anche ai contratti con obbligazioni di una sola parte (art.1468 c.c.);

C) L’impossibilità della prestazione deve dipendere da causa non imputabile al debitore (art.1256 c.c.), ma non si richiede che si tratti di un avvenimento straordinario ed imprevedibile, mentre tale presupposto è richiesto per l’applicabilità degli artt. 1467 e 1468 c.c.;

D) L’impossibilità della prestazione opera ipso iure (art.1256 c.c.), mentre la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta dev’essere pronunziata giudizialmente (art.1467 c.c.). Se per opera esclusiva delle parti si addivenisse alla neutralizzazione degli effetti del contratto, quindi, si avrebbe un contrarius consensus;

E) tanto l’impossibilità sopravvenuta quanto la sopravvenienza contrattuale pongono limiti al principio contenuto nell’art. 1218 c.c.

3.3. Indicazioni operative per il debitore

Se l’obbligazione è sorta e divenuta esigibile prima del d.l. 18/2020, della dichiarazione di pandemia (11 marzo 2020, o comunque della situazione di emergenza in alcune zone d’Italia – 23 febbraio 2020) si applicherà l’art. 1258 c.c., dovendo il debitore, in questo caso, adempiere la prestazione antecedente.
Non sono invece dovute (puntualmente) le prestazioni con titolo costitutivo anteriore al d.l. 18/2020, alla dichiarazione di pandemia [od alla creazione dell’originaria “zona rossa”] e scadenti dopo tali fatti.
Altrettanto dicasi per obbligazioni completamente sviluppatesi in periodo successivo all’emanazione dei provvedimenti restrittivi delle attività economiche.
In tali casi sarà necessario negoziare una postergazione dei pagamenti.
Nell’attuale situazione, fatti salvi casi particolari, non si ritiene opportuno eccepire l’eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c., che necessita di una pronuncia giurisdizionale, nonché di un’immediata eccezione prima della messa in mora, mentre è opportuno richiamare gli artt. 1463-1464 c.c. che si basano su un evento imprevedibile [e oggi ex lege] non imputabile al debitore (la pandemia), che riguarda un periodo limitato dall’emergenza e quindi rappresentante una impossibilità totale e/o parziale (temporanea) della prestazione.
In tal caso, infatti, l’interesse del debitore (persona fisica o giuridica in difficoltà a causa della pandemia) non è risolvere il contratto, nonostante lo squilibrio del vincolo sinallagmatico, ma “congelare” in tutto o in parte gli obblighi.
Dopodiché, nel corso (in caso di allungamento dei tempi) o al termine della pandemia, si potrà comunque domandare la risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c., o meglio richiedere una revisione delle condizioni per verificare la reazione dell’altro contraente. Tale procedura, è bene ricordare, sarà preclusa nel caso in cui l’altro contraente abbia eccepito l’inadempimento per esempio tramite formale messa in mora.